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Così si investe nella crescita: ecco l’identikit del business angel

Investire nel futuro, con capitali e competenze, beneficiando (anche) dell’alleggerimento fiscale che la legge di Bilancio
2019 ha portato dal 30 al 40 per cento. Ecco l’essenza del business angel che ha poco a che fare con la figura di un miracoloso finanziatore nascosto e, invece, si identifica spesso con un professionista
o un manager desideroso di impiegare i propri capitali (non necessariamente elevati: bastano anche 10mila euro) per aiutare
chi ha idee innovative a farle crescere.

Risponde al profilo Antonella Grassigli, commercialista con studi a Milano e Bologna, 50 anni e tre figli: «Chiunque può essere
un business angel. Io iniziato a interessarmi a questo tipo di investimenti quattro anni fa, con l’intento di immettere nuova linfa nel sistema»,
spiega Grassigli. Che precisa: «Essere un business angel non vuol dire fare un semplice investimento in denaro, ma mettere a disposizione le proprie competenze per supportare la
start up nel suo cammino di crescita».

Grassigli, che fa parte del network Italian Angels for Growth – «meglio affidarsi agli esperti se non si conosce il mondo
degli investimenti», dice – ha impegnato in start up italiane e straniere che operano nei settori moda, fintech, medicale
e tecnologico e, con altri tre investitori informali, di recente ha fondato la piattaforma di equity crowdfunding Doorway.

La possibilità di detrarre il 40% dell’investimento, così come previsto dalla legge di Bilancio 2019 può costituire un importante
incentivo all’azione degli angeli delle start up: «L’impatto della misura è reale: dà una spinta ulteriore all’impegno – continua
Grassigli -. Oltretutto, ha praticamente costo zero per le casse dello Stato, ma fa bene al Paese».

Anche Marco De Guzzis, manager, fa parte di Italian Angels for Growth: negli ultimi dieci anni ha investito in circa 12 start
up, tutte italiane. «Il mio obiettivo è promuovere realtà originali che interpretano in modo innovativo le eccellenze del
made in Italy».

Tra gli avvii d’impresa che De Guzzis ha seguito con continuità e molto da vicino (in qualità di champion, il coordinatore dei business angel su un investimento e quello di maggior peso, in termini economici) ci sono quelli di Musement e Artemest: la prima, una piattaforma
online dedicata al turismo, è stata rilevata pochi mesi fa dal colosso tedesco Tui per 15 milioni di euro; la seconda, un
e-commerce di eccellenze artistiche e di design made in Italy, nel 2018 ha concluso un round di investimento internazionale
da 4 milioni di euro. «Il vero guadagno per chi partecipa all’investimento iniziale di solito arriva dall’exit, non dai ricavi
della start up – continua De Guzzis -. Lo sgravio fiscale? Spinge a investire somme più ingenti».

Il manager è favorevole all’ufficializzazione della figura del business angel e alla nascita di elenco stilato dalla Banca d’Italia: «Penso sia un riconoscimento importante, anche perché si tratta di
un ruolo chiave in fase d’avvio d’impresa e che difficilmente può essere sostituito da un venture capital, specialmente nelle fasi iniziali».

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