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Indipendenza necessaria nel segno dell’euro

Una ventina di anni dopo il “divorzio” tra il ministero del Tesoro e la Banca d’Italia entrava in circolazione l’euro unità di conto virtuale già dal 1999 “ e l’autonomia della politica monetaria si trasferiva a Francoforte. All’epoca nel bilancio di Palazzo Koch non c’erano più di 62 miliardi in titoli del debito pubblico, circa il 4,3% del totale, con un debito/Pil attorno al 110%, quasi il doppio rispetto ai livelli del 1981 (58%). Da allora l’Eurosistema, di cui la Banca d’Italia è parte integrante con una quota del 17% del capitale della Bce, ha aggiunto molti mattoni a quella «costituzione monetaria» evocata da Ciampi nelle Considerazioni finali sul 1980, a partire dal pilastro dell’indipendenza del potere di creare moneta da chi determina la spesa pubblica. Ma oggi quanto è rimasto di quell’indipendenza dopo i maxi-programmi di politica monetaria di emergenza messi in campo, soprattutto nelle menti di legislatori alla prese con una crisi dopo l’altra, fino alla pandemia in pieno corso?

A fine 2019, prima dell’emergenza sanitaria, nel bilancio della Bce le attività relative alle operazioni di politica monetaria rappresentavano il 70% delle attività totali, il cui valore si era stabilizzato su 4.700 miliardi, un livello di quasi cinque volte superiore a quello di quattro anni prima, quando era appena stata superata la crisi dei debiti sovrani. Poi è arrivato Covid-19. Solo il Programma di acquisto di emergenza pandemico (Pepp) ha già triplicato la sua gittata in soli nove mesi: era partito con 600 miliardi in marzo, a giugno ne sono stati aggiunti altri 700 e il 10 dicembre il Consiglio direttivo ha aumentato la dotazione di altri 500 miliardi, per un totale di 1.850 miliardi di euro, con operazioni garantite fino a marzo 2022 e reinvestimenti fino a fine del 2023 del capitale in scadenza dei titoli acquistati. Come finirà e quando questa politica monetaria di emergenza nessuno oggi è in grado di immaginarlo.

Il bilancio della Banca d’Italia ha seguito lo stesso destino di quello della Bce, come succede del resto per le altre banche centrali dell’Eurosistema. A fine 2019 l’attivo era arrivato a 960 miliardi, per oltre il 60% per operazioni di politica monetaria, nel 2015 il totale delle attività non arrivava a 600 miliardi. A fine ottobre (ultimo dato utile) Via Nazionale deteneva 535 miliardi di titoli pubblici, il 20,6% del totale dei titoli di debito pubblico, cinque anni prima aveva in bilancio solo 145 miliardi tra BoT e BtP. Un cambiamento enorme. Basti pensare, per fare un raffronto, che tutte le banche italiane, nel loro insieme, avevano in bilancio 400 miliardi di titoli di debito nazionale nel settembre del 2015, e circa 440 miliardi cinque anni dopo.

Come ha scritto sul nostro giornale Donato Masciandaro, politica monetaria e politica di bilancio dovranno continuare a camminare ancora a lungo “mano nella mano”, fino a quando non si sarà trovata una via di uscita dalla crisi e si saranno ristabilite le condizioni per una crescita sostenibile e duratura. Ma in questo cammino straordinario non si dovrà ridimensionare l’indipendenza conquistata sul campo dalla Banca centrale, che oltre a fare i conti con il rischio di dominanza fiscale (quando cioè le esigenze imposte dagli extra-deficit pubblici determinano la velocità di creazione della moneta) deve affrontare contemporaneamente molte altre sfide: la deflazione, la frammentazione dei mercati, il cambiamento climatico, il Fintech, l’euro digitale. Un fronte, questo della futura moneta di banca centrale, che vede in prima linea proprio Bankitalia, che per conto dell’Eurosistema ha ideato e ingegnerizzato Tips (Target instant payment settlement), la piattaforma pubblica paneuropea attivata due anni fa. Se l’emissione del futuro euro digitale fosse accompagnata dalla possibilità per cittadini e imprese di aprire un conto corrente presso la propria banca centrale – come oggi fanno solo le banche commerciali – la piattaforma per i pagamenti istantanei potrebbe tranquillamente reggere la sfida con un ampliamento della sua architettura attuale. Un’altra prova concreta di indipendenza, da segnalare ai populisti che di tanto in tanto sognano di mettere le mani sull’oro di Bankitalia (79 milioni di once; 124 miliardi di euro ai prezzi correnti) o che poco più di tre anni fa, tra settembre e ottobre del 2017, tentarono di bloccare in Parlamento la nomina per il secondo mandato del governatore Ignazio Visco.