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Taglio tasse, la verità sulla stangata Iva del Governo per hotel e ristoranti

Il Governo racimolerà soldi per il taglio delle tasse aumentando l’Iva a hotel e ristoranti? Non è la prima volta che se ne parla, nemmeno in seno al governo Conte-bis.

Già a settembre scorso, infatti, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri aveva mostrato una certa apertura nei confronti di questa possibilità, pur esibendo non poca cautela, perché, si sa, l’aumento delle aliquote Iva è sempre un tasto dolente.

In questi giorni si è tornati a parlare della possibilità di aggravare l’Iva ai danni di hotel e ristoranti per liberare nuove risorse da utilizzare per l’ambizioso taglio delle tasse deciso in Manovra, sempre ammesso che si trovino le risorse.

La reazione di albergatori e consumatori

La possibile rimodulazione dell’Iva ha fatto sobbalzare immediatamente albergatori e consumatori. Si tratta di una proposta che il presidente di Codacons Carlo Rienzi ha bollato come “oscena”, tanto più in un momento difficile come questo, aggravato dalla crisi del commercio innescata dal Coronavirus.

Un aumento dell’Iva per alberghi e ristoranti non colpirebbe il lusso o i ricchi, ma la totalità dei consumatori, creando peraltro un danno all’economia nazionale, in quanto un eventuale incremento delle aliquote in questi settori andrebbe a colpire in particolare il turismo, determinando un aggravio delle tariffe a danno dei visitatori e allontanando i turisti, sia italiani che stranieri, dalle nostre città, a totale vantaggio della concorrenza straniera.

Un settore vitale per il Paese

Negli ultimi 10 anni l’occupazione nel settore della ristorazione è cresciuta del 20%, mentre negli altri comparti è scesa del 3,4%. Mortificare uno dei pochi settori dinamici, capace di dare lavoro a 1,2 milioni di persone, viene percepita da albergatori e ristoratori come una soluzione inefficace per rilanciare i consumi e, più in generale, l’economia dell’intero Paese.

“Il governo dice di voler ridurre le imposte sui ceti medio bassi e per farlo propone di alzare l’Iva sul turismo, in particolare hotel e ristoranti, come se fossero soltanto i turisti stranieri a mangiare fuori casa o dormire in albergo”, accusa Roberto Calugi, direttore generale della Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. Ma non è così. Ogni giorno circa 10 milioni di lavoratori pranzano nei bar e nei ristoranti e lo fanno per necessità, non per scelta. Un aumento dell’Iva colpirebbe innanzitutto loro.

Come se non bastasse, l’idea di rendere più salato il conto al ristorante per i turisti stranieri tradisce un paradosso di fondo: sono sempre di più le persone che arrivano in Italia per vivere un’esperienza non solo artistica, ma soprattutto enogastronomica, resa possibile dalla professionalità dei nostri cuochi e ristoratori. Penalizzare questa fetta di mercato sulla quale in queste settimane già pesa l’insicurezza dovuta al Coronavirus – lamenta Calugi – rischia di essere controproducente per tutti.

Ipotesi “autolesionista”, la smentita del Mef

Più duro ancora il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca: “Qualcuno si illude di far cassa spremendo gli ospiti stranieri, confidando di non pagar pegno, grazie al fatto che i forestieri non votano. In realtà, il turista ha un modo molto efficace di esprimere il proprio voto: vota con i piedi, cambiando strada e scegliendo altre destinazioni”.

Federalberghi e gli altri chiedono al Governo di non dar seguito a questa proposta che definiscono “autolesionista” e di concentrare la propria attenzione verso le imposte evase da centinaia di migliaia di esercizi ricettivi abusivi che inquinano il mercato.

Secondo diverse indiscrezioni l’ipotesi di un aumento dell’Iva sarebbe stata smentita ieri dal Mef. Il lavoro per la semplificazione e per la riduzione della pressione fiscale, avrebbero fatto sapere da via XX Settembre, è focalizzato sull’Irpef.