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«Più stranieri per il cda Intesa, il futuro è da public company»

«Non siamo un partito, né un hedge fund. E proprio per questo credo che tocchi a noi, come Fondazioni azioniste di Intesa
Sanpaolo, fare in modo che il nuovo consiglio di amministrazione della prima banca del Paese non diventi un luogo dove si
confrontano opposte fazioni italiane ma dove invece si apportano nuove conoscenze. È necessario che il nuovo board di Intesa
Sanpaolo si arricchisca con nuove competenze internazionali. Il ceo Carlo Messina? Ha fatto un grande lavoro negli anni passati,
vogliamo dargli pieno supporto anche nel nuovo piano al 2021 basato su fintech, internazionalizzazione e gestione dei rischi».

Francesco Profumo, 65 anni, nato a Savona ma torinese da quasi sempre, è presidente della Compagnia San Paolo che è il primo azionista di Intesa
Sanpaolo con una quota del 6,79% del capitale. Profumo ha un lungo curriculum accademico, come docente universitario in Italia
e all’estero, ed è stato tra l’altro preside e rettore al Politecnico di Torino, presidente del Cnr e Ministro dell’Istruzione
nel Governo Monti.

Professore prestato alla politica, membro di cda di società quotate, ora presidente della più ricca Fondazione d’Italia.
Ingegnere, soprattutto. Vedremo come se la caverà nel dialogo con le altre Fondazioni azioniste di Intesa Sanpaolo, che a
breve avvieranno i contatti per il rinnovo del board del colosso bancario italiano in programma nell’assemblea dei soci di
aprile 2019.

Presidente, lei si fa promotore di una svolta internazionale nel cda di Intesa Sanpaolo. Perché?

Per molti motivi. Il tema dell’internazionalizzazione del board, in coerenza con gli obiettivi strategici del piano, è molto
importante per una banca della dimensione di Intesa Sanpaolo. E personalmente credo che un po’ di nuovo “sangue” intellettuale
nel board possa essere utile a creare valore per un grande gruppo che compete nel mondo globalizzato.

Nella scelta dei nuovi consiglieri quanto conterà la nuova regulation introdotta dalle Autorithy europee?

Le nuove linee guida di Eba ed Esma sulla composizione dei consigli delle banche richiedono esplicitamente, oltre alle conoscenze
e alle competenze acquisite nella complessità del business, anche di avere le capacità per influenzare il processo decisionale
e, doti non comuni, la convinzione e la forza di resistere al “pensiero di gruppo”.

Operativamente, che tipo di ricambio auspica per il cda?

Il ricambio deve avvenire nella continuità. Ma dobbiamo riflettere sul fatto che nel cda in scadenza solo il 68% dei consiglieri
di Intesa Sanpaolo aveva, tra le loro competenze, l’esperienza internazionale. Secondo i dati Consob, solo il 7% dei partecipanti
ai consigli delle società quotate a Milano non è italiano. È un dato insufficiente. Che ci dovrà portare a valutare se nominare
uno o più consiglieri stranieri nel cda di Intesa Sanpaolo.

L’eccessiva italianità dei board è il segnale di uno scarso appeal estero delle nostre aziende?

In parte sì. Ma non è certo il caso di Intesa Sanpaolo che, come già avvenuto con l’adozione di una governance basata sul
sistema monistico, deve saper fare da apripista anche nell’internazionalizzazione del board. E tocca a noi Fondazioni compiere
questo passo anche come atto di responsabilità verso i fondi esteri, che oggi detengono circa i due terzi del capitale della
banca e che non potranno che guardare di buon occhio a questa apertura.

Un’altra tappa verso l’evoluzione di una vera e propria public company?

Intesa Sanpaolo è nei fatti una public company fin dalla sua nascita, avvenuta con la fusione del 2007. Se quasi dodici anni
fa questo assetto societario era una rarità, oggi questo è predominante nelle banche italiane. Con una differenza: gli altri
istituti ci sono arrivati non per scelta ma a causa di una violenta diluizione detenute in passato dalle Fondazioni, a seguito
di ripetuti aumenti di capitale.

Si riferisce a UniCredit? Lì ormai le Fondazioni hanno un ruolo residuale…

Dico solo che le Fondazioni azioniste di Intesa Sanpaolo in questi anni hanno potuto continuare a erogare risorse al territorio,
differenziando sempre più gli investimenti per rafforzare il proprio capitale, cresciuto in parallelo ai distribuiti dalla
banca. E questo è avvenuto garantendo un controllo stabile sull’operatività del management, contrastando al contempo il vero
tallone d’Achille delle public company ovvero l'eccesso di potere concesso, in alcuni casi, ai manager.

In una vera e compiuta public company però è il board a presentare la nuova lista di amministratori. In Intesa Sanpaolo invece
questo potere è ancora in mano ai grandi soci, ovvero alle Fondazioni. Perché non vi adeguate alla governance di quasi tutte
le banche europee?

Abbiamo fatto da apripista con il sistema monistico che ha ben funzionato, ma è ancora in fase di prima applicazione e necessità
di un secondo triennio di consolidamento. Abbiamo valutato l’ipotesi della lista del cda e ritengo che questa sia la strada
da perseguire senz’altro in futuro.

Veniamo alle nomine del nuovo cda visto che, in quanto primo azionista, sarete proprio voi di Compagnia San Paolo a presentare
la lista di maggioranza. Scontata la riconferma del ceo Carlo Messina, non è ancora chiaro se sarà confermato anche il presidente
Gian Maria Gros Pietro. Cosa ci può dire?

Abbiamo un giudizio estremamente positivo sull'operato del management guidato da Messina, sia come azionisti che come soggetti
interessati al sistema-Paese. Quanto ai nomi dei nuovi consiglieri, capisco la curiosità ma i ragionamenti sui nomi non sono
ancora partiti. Lo faremo appena avremo il documento che la banca sta mettendo a punto con il processo di valutazione dei
consiglieri uscenti, da incrociare con i requisiti chiesti dalla Vigilanza Bce e con le norme per il rispetto delle quote
di genere e l'interlocking.

Sì, ma Gros Pietro?

Il consiglio ha funzionato bene.

Il piano di impresa di Messina punta anche sulla trasformazione digitale della banca e sulla corporate social responsability,
temi su cui è impegnata anche la Compagnia?

Come Compagnia San Paolo nel 2019 stanzieremo 52 milioni per le politiche sociali, con l'obiettivo di aumentare lo sviluppo
e l'interesse comune. Un discorso analogo si può fare per la valorizzazione di circa 20mila opere d'arte proposta nel piano,
eroghiamo già 38 milioni per arte e attività culturali ogni anno. La Compagnia punta anche sul fintech, attingendo alle migliori
intelligenze dalle università, creando nuove imprese attraverso un soggetto che si chiama Links Foundation con investimenti
superiori a 20 milioni all'anno.

A giugno va rinnovata la presidenza dell'Acri. In molti hanno fatto il suo nome per il dopo Guzzetti. Lei è disponibile?

Sono onorato che alcuni colleghi presidenti di Fondazione abbiano fatto il mio nome. Ma è presto per parlarne, la democrazia
deve avere le sue dinamiche naturali.

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Fonte: ilsole24ore.com