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Aumento Iva in arrivo. Costerà 538 euro a famiglia

L’agenda politica ed economica è stata dominata nelle ultime settimane da Quota 100 e Reddito di cittadinanza, colonne portanti del decretone con le misure più care ai due partner di governo. Tuttavia la voce più importante del bilancio pubblico fra quelle da finanziare è la famigerata “clausola di salvaguardia”: 23 miliardi per l’esercizio 2020 (ma i conti vanno fatti già con il prossimo DEF ad aprile) più altri 28,7 per il 2021. Un’incognita da quasi 52 miliardi per la quale, se non si troverà la copertura, verrà inevitabilmente aumentata l’Iva. Nella versione della legge di Bilancio, l’Iva ordinaria è destinata a salire dal 22 al 25,2% dal 2020 (e poi al 26,5% dal 2021), mentre per quella al 10% si prevede un rialzo al 13%, sempre dal 2020.

L’origine
Le clausole di salvaguardia entrano nel lessico politico e nei documenti contabili programmatici dall’agosto 2011, quando il governo Berlusconi IV – oppresso da uno spread in zona 500 mentre negli stessi giorni paradossalmente introduceva in Costituzione il pareggio di bilancio – ipotizzava di risolvere i problemi di deficit e debito con un aumento secco dell’Iva da giocarsi nel futuro. E lasciando quindi ai governi successivi l’onere di trovare i finanziamenti necessari a disinnescarle, materia a loro volta rinviata dai governi Renzi e Gentiloni pur senza che l’Iva aumentasse.

Senza sviluppo il problema è peggiore
Il problema ora è moltiplicato dall’assenza di misure di sviluppo: “L’ effetto sul bilancio della manovra del dicembre 2018 è negativo per lo 0,3%” – commenta alle pagine economiche de La Repubblica Mario Baldassarri, direttore del Centro studi economia reale, che quantifica in 40 miliardi l’importo complessivo che si dovrà finanziare con la prossima legge di Bilancio. “I nodi vengono al pettine ora – aggiunge Baldassarri – perché l’ assenza di crescita rischia di far sfondare qualsiasi livello di compatibilità europea, insomma di portarci oltre il 3%”.

La stangata sulle famiglie
Partendo dai dati Istat del 2017, Il Sole 24 Ore del lunedì ha simulato l’impatto del doppio rincaro. Le differenze – per quanto poco marcate – dipendono dal diverso mix del paniere di spesa. Soffre di più il rincaro chi acquista maggiormente prodotti con aliquota al 22%, come ad esempio abbigliamento e calzature, ma anche arredi, bibite, vini e liquori. Al contrario, rimane più protetto chi spende molto per beni tassati al 4%, come pane, frutta e verdura. La media sarebbe comunque di 538 a famiglia.

Scenari intermedi
Nella sua analisi su Il Sole 24 Ore, Cristiano Dell’Oste fa giustamente notare come gli incrementi dell’Iva siano stati quasi sempre sventati al fotofinish. E che, quando sono scattati, si è preferito toccare solo l’aliquota ordinaria (dal 20 al 21% il 17 settembre 2011 e dal 21 al 22% il 1° ottobre 2013). Non vanno dunque esclusi scenari intermedi. Alzare di un punto entrambe le aliquote al 10 e al 22%, ad esempio, costerebbe alla famiglia-tipo 173 euro all’anno; due punti sarebbero 346 euro in più.