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Il Superbonus andrebbe ritoccato, non cestinato

Di Cristian Dominici

La Premier Giorgia Meloni ha aspramente criticato la manovra del Superbonus, soprattutto a causa delle numerose irregolarità emerse, e ha dichiarato che non verrà inserita nella Legge di Bilancio 2024. Al contrario, l’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori, ha sostenuto che il Superbonus è uno strumento utile sia per lo Stato che per i cittadini, come emerso dalle ultime rilevazioni, e meriterebbe degli interventi di correzione con il decreto Aiuti bis.

Una norma come il contributo 110% o come i vari contributi di legge per efficientamento energetico e ristrutturazione edifici è molto difficile da valutare nel suo complessivo impatto all’economica di un Paese, ma ci sono alcuni parametri di riferimento che si possono valutare.

Osservando i risultati di diverse analisi, emerge chiaramente che il Superbonus ha portato nel complesso benefici fiscali, ambientali e nell’ambito del lavoro.
Partiamo dalla sfera economica. Uno studio di Nomisma ha rilevato che l’impatto economico complessivo del Superbonus 110% sull’economia nazionale è stato pari a 195,2 miliardi di euro, con un effetto diretto di 87,7 miliardi, 39,6 miliardi di effetti indiretti e 67,8 miliardi di indotto.
Tra i beneficiari di questa misura c’è anche lo Stato: secondo i dati del Mef, nel primo semestre 2022 il Superbonus ha prodotto un extragettito fiscale nel settore delle costruzioni di 14,3 miliardi, beneficiando le casse statali di 4.219 milioni, pari al 30% dell’extragettito. A questi dati, rileva un rapporto dell’Ance, si aggiungono 1.374,5 milioni di gettito Iva e 2.845 milioni di Irpef e Iva derivante dai maggiori consumi degli occupati negli interventi legati al Superbonus.
Effetti positivi si sono registrati anche nel mondo del lavoro. Secondo lo studio di Nomisma, il Superbonus ha infatti generato un incremento di 641.000 occupati nel settore delle costruzioni e di 351.000 occupati nei settori collegati, e ha permesso di raggiungere una produzione aggiuntiva di 1 miliardo di euro in costruzioni.
Bisogna considerare inoltre che l’edilizia, a differenza di molti settori hi-tech, è un settore labour intensive (cioè in cui la maggior parte dei fattori della produzione è costituita da manodopera), quindi con ricadute dirette ed immediate sul tasso di occupazione del Paese.

Guardando poi alla sfera della sostenibilità ambientale, con il Superbonus gli edifici hanno registrato una riduzione del 50% delle emissioni di CO2 e un risparmio in bolletta tra il 30,9% (salto di 2 classi) e il 46,4% (salto di 3 classi). Il meccanismo della cessione dei crediti risulterà quindi imprescindibile anche nel breve futuro, per far fronte alla direttiva dell’Unione europea sulle case green (con l’obiettivo di portare tutti gli edifici minimo in classe D entro il 2033), agli impegni sulla neutralità carbonica (emissioni zero entro il 2050) e per sostenere la domanda di 10,3 milioni di famiglie eterogenee.

Alla luce di questi dati e della fase economica recessiva in cui si trovano i principali Paesi europei, siamo convinti che ad oggi in Italia la recessione possa essere evitata solo con il coinvolgimento diretto degli investimenti delle famiglie, trasferendo una parte dei loro risparmi nelle imprese. Per agevolare e incentivare questo trasferimento, la ristrutturazione e l’efficientamento energetico degli edifici rappresentano la strada più efficace e facilmente percorribile. Per questo, focalizzandoci sulla misura del Superbonus, risulta molto sensata la proposta dell’Ance di rimodulazione dello strumento: coinvolgere le famiglie nelle spese di ristrutturazione (lo Stato coprirebbe il 70%, mentre il restante 30% sarebbe a carico dei condomini) incentiverebbe una corresponsabilità tra pubblico e privato; le famiglie avrebbero la possibilità di detrarre i costi dalla dichiarazione dei redditi, ma si eviterebbero sprechi, prezzi gonfiati ed eccessivi costi per le casse pubbliche.

(Fonte: Christian Dominici su Il Giornale delle PMI)

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