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Lotta all’evasione, Airbnb nel mirino del Fisco

Il Fisco corre ai ripari per contrastare l’enorme evasione fiscale sugli affitti brevi, un mercato esploso negli ultimi anni.

Gli affitti brevi riguardano case e appartamenti che i proprietari mettono a disposizione soprattutto per finalità turistiche. Avvengono tramite piattaforme web, come Airbnb la più famosa ma non l’unica, che fatturano giri di affari per milioni di euro ma non pagano tasse in Italia o ne pagano molto poche.

Ora l’Amministrazione fiscale, aiutata anche dalle nuove leggi recentemente approvate, sta attivando nuovi controlli, per combattere elusione ed evasione fiscale sugli affitti brevi, sia nei confronti dei proprietari di case che nei confronti delle piattaforme web.

A dicembre dello scorso anno, con il Decreto Sicurezza (dl 113/2018) sono stati precisati gli obblighi di comunicazione alle questure delle generalità delle persone ospitate anche per chi affitta o subaffitta un immobile per brevi periodi, ovvero per meno di trenta giorni. Così come avviene per gli alberghi e per chi gestisce in modo imprenditoriale bed and breakfast, agriturismi e case vacanze (ai sensi dell’articolo 109 del Tulps).

Anche i privati che affittano o subaffittano un appartamento o alcune stanze al suo interno sono obbligati a inviare i dati delle persone ospitate alla questura competente per territorio, registrandoli sul portale della Polizia di Stato “Alloggiati Web”, entro 24 ore dal loro arrivo oppure immediatamente per soggiorni di durata inferiore alle 24 ore. Chi non ottempera a quest’obbligo rischia l’arresto fino a tre mesi o una ammenda fino a 206 euro (articolo 17 del Tulps).

Come ha previsto il Decreto Crescita, la banca dati di “Alloggiati Web” sarà messa a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, che in questo modo potrà accedere a tutti i dati dei locatori che affittano i loro immobili sui portali quali Airbnb, Booking o Homaway. Come una sorta di “Grande Fratello”, l’Agenzia potrà controllare se i proprietari che affittano le loro case per brevi periodi sono in regola con gli adempimenti fiscali.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, dovrà rendere disponibili questi dati anche ai Comuni che hanno introdotto la tassa di soggiorno per verificarne il pagamento da parte degli ospiti. Con questa normativa, è evidente, si vuole aggredire la consistente somma di denaro che sfugge al Fisco negli affitti brevi del settore turistico.

Secondo un report del 2018 della Banca d’Italia, l’Italia è il terzo mercato degli affitti per Airbnb, dopo Stati Uniti e Francia. Nel nostro Paese dunque, solo per questa piattaforma, esiste un grosso giro di affari sugli affitti brevi, ma lo Stato riceve poco in termini di tasse.

Ad esempio, nel 2017 gli annunci attivi sul portale italiano di Airbnb erano circa 340.000, ma nello stesso anno il Fisco ha incassato dalla piattaforma appena 131.000 euro di tasse. È andata meglio nel 2018 quando lo Stato italiano ha ricevuto da Airbnb 6,5 milioni di euro, di cui 4,5 milioni riguardanti esercizi precedenti. La situazione è dunque migliorata, sebbene resti il contenzioso sulla cedolare secca, contro la quale Airbnb ha presentato ricorso al Tar.

Gli intermediari delle locazioni, infatti, devono trattenere alla fonte la cedolare secca, l‘imposta del 21% sugli affitti che deve poi essere versata all’Agenzia delle Entrate. Una norma contestata da Airbnb così come l’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale in Italia, per la società che non ha sede in Italia. Il Decreto Crescita, tuttavia, ha previsto che al posto del soggetto estero sarà responsabile, ai fini fiscali, il soggetto italiano collegato al gruppo (Airbnb Italy) che gestisce gli affitti in Italia per suo conto.

Ora restano da verificare gli adempimenti fiscali dei locatari privati, non tutti registrati sul portale “Alloggiati Web”. A fine 2018, infatti, risultavano iscritti sul potale della Polizia di Stato 195.000 appartamenti a fronte dei circa 400.000 annunci attivi sul solo portale di Airbnb ad agosto dello scorso anno. Molte locazioni turistiche, quindi, rimangono sconosciute sia alle questure sia soprattutto al Fisco. Va precisato, tuttavia, che questi numeri sono probabilmente destinati a cambiare per effetto delle nuove norme approvate di recente.

Va poi ricordato che sempre il Decreto Crescita ha introdotto anche l’obbligo per i proprietari di immobili concessi in affitto breve di registrarsi presso una banca dati pubblica delle strutture ricettive e degli immobili che saranno identificati con un codice alfanumerico. Il codice sarà una sorta di bollino di qualità e l’iscrizione alla banca dati un modo per verificare l’adempimento della tassa di soggiorno.

Il codice alfanumerico dovrà essere utilizzato “in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza”. Senza il codice non sarà possibile pubblicare annunci di affitto, pena sanzioni da 500 a 5.000 euro per annuncio a carico del portale. La banca dati, invece, sarà istituita presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.