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Taglio cuneo fiscale e salario minimo, le prime mosse del Conte Bis 

“Il nostro obiettivo prioritario è ridurre le tasse sul lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale, a totale vantaggio dei lavoratori, e individuare una retribuzione giusta, il cosiddetto salario minimo, garantendo le tutele massime ai lavoratori anche attraverso l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi”. Questi alcuni punti del discorso programmatico pronunciato ieri a Montecitorio dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nel corso del suo intervento a Montecitorio nel giorno della fiducia al Governo. Le risorse arriveranno,  ha spiegato il Premier nelle comunicazioni alla Camera, dai risparmi derivanti dal calo dello spread, dalla spending review, dal riordino delle tax expenditures e dalla lotta all’evasione.

Mentre in Senato è ancora in corso il dibattito sulla fiducia che si concluderà nella tarda serata di oggi, la compagine PD-M5s inizia a scaldare i motori in vista delle prossime, imminenti sfide da affrontare insieme, prima delle quali senza dubbio la Legge di Bilancio 2020, banco di prova per il nuovo Governo giallorosso.

Tema da sempre carissimo al Pd, sul quale convergono anche i Cinquestelle, è senza dubbio il taglio del cuneo fiscale. La sforbiciata sulle tasse relative al lavoro mette d’accordo entrambe le forze politiche visto che si lega a doppio filo al rilancio di investimenti, assunzioni e consumi. Divergenze però sulla sua attuazione.
Per i dem, infatti. l’operazione “taglio al cuneo” passerebbe per un meccanismo di detrazioni fiscali, che assorbirebbero anche gli “80 euro”, allargandoli a fasce di reddito oggi escluse (ad esempio, incapienti e lavoratori con oltre 26.600 euro).  Di fatto, una riduzione del cuneo che andrebbe a vantaggio dei soli lavoratori che, secondo alcune simulazioni, si tradurrebbe in un aumento delle retribuzioni fino a 1.500 euro netti l’anno.

Priorità per i pentastellati è invece la riduzione della pressione fiscale sulle imprese da legarsi all’introduzione del salario minimo.   

PROVE DI ACCORDO SUL SALARIO MINIMO -E proprio uno dei temi su cui i nuovi alleati dovrebbero trovare più facilmente un’intesa è quello del salario minimo.  Per individuare una “retribuzione giusta”– obiettivo indicato al punto 4 del programma del Governo giallorosso –  si potrà infatti partire da una base più che concreta, ossia andando ad attingere ai due disegni di legge ora in commissione Lavoro al Senato, i cui primi firmatari (per i pentastellati, il neoministro del Lavoro, Nunzia Catalfo; per il Pd, Tommaso Nannicini, ex consigliere economico dell’ex premier Matteo Renzi) testimoniano il carattere prioritario del tema. Due testi in cui non mancano punti di contatto, ma anche sostanziali divergenze. 

Nel dettaglio, il Ddl dei 5 Stelle fissa, infatti, l’asticella a 9 euro all’ora “al lordo degli oneri contributivi e previdenziali”. Mentre in casa Pd non si menzionano importi, ma si rende vincolanti i contratti collettivi siglati dalle associazioni più rappresentative (anche se inferiori a 9 euro). Affidandosi, per le sole materie scoperte, a un “salario minimo di garanzia”, che sarà fissato entro 18 mesi da una commissione di tecnici incardinata presso il Cnel.

L’obiettivo comune a entrambi è arginare il fenomeno dei working poor, che lavorano “in regola” ma hanno redditi sotto la soglia di povertà. Secondo Eurostat (2018), in Italia l’11,7% dei dipendenti ha un salario inferiore ai minimi contrattuali, contro una media Ue del 9,6 per cento.