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Digital Tax, Italia a rischio dazi: la minaccia degli Stati Uniti

L’Italia (insieme a Austria, India, Indonesia e Turchia) è nuovamente finita sotto la lente di ingrandimento dell’Ufficio del rappresentante al commercio degli Stati Uniti d’America. E, al centro del dibattito, c’è ancora la web tax, ossia la tassazione “ad hoc” per i giganti della Silicon Valley protagonisti, negli anni passati, di feroci polemiche per l’esiguo quantitativo di tasse che pagano nel nostro Paese (e negli altri Paesi dell’Unione Europea).

Come noto, infatti, i vari Amazon, Apple e Google pagano poche decine di milioni di euro di tasse in Italia, a fronte di fatturti di svariate centinaia di milioni. Merito di particolari strategemmi contabili, che consentono di spostare utili e liquidità verso nazioni con aliquote fiscali più convenienti. Per evitare che questo atteggiamento continui, diversi Paesi in tutto il mondo hanno ideato una tassazione “ad hoc”, chiamata digital tax, che consenta di aumentare l’aliquota effettiva di tassazione nei confronti dei giganti del web.

Nuova indagine contro l’Italia per la digital tax

Il rappresentante dell’ufficio commercio statunitense, Robert Lighthizer ha annunciato l’avvio di una nuova indagine contro l’Italia (e le altre nazioni citate, alle quali potrebbero aggiungersi anche Brasile, Repubblica Ceca, Unione europea, Spagna e Regno Unito) a causa della digital tax entrata in vigore a gennaio di quest’anno.

L’indagine, fa sapere lo USTR (acronimo di United States Trade Representative, ossia Rappresentante per il commercio degli Stati Uniti), mira a determinare se la tassazione “ad hoc” ha portato a una discriminazione commerciale delle aziende hi-tech a stelle e strisce. L’intera indagine si basa sulla sezione 301 del Trade Act del 1973, che autorizza il Presidente degli Stati Uniti a intraprendere in via unilaterale delle misure che forzino un Governo straniero a ritirare un qualsiasi atto che violi un trattato commerciale internazionale.

Cosa rischia l’Italia a causa della digital tax

Nel caso in cui l’indagine dovesse dare esito positivo, ossia riscontrare delle violazioni da parte del Governo italiano, l’Esecutivo statunitense potrebbe mettere in atto politiche commerciali “uguali e contrarie” per difendere gli interessi delle aziende del suo Paese. Ossia, potrebbe imporre dazi all’importazione di prodotti italiani negli Stati Uniti.

A dicembre 2019, per la stessa questione, l’USTR aveva minacciato di imporre dazi del 100% su prodotti agroalimentari italiani, come grana padano, olio d’oliva e vini. Nei mesi successivi le minacce erano poi svanite ma, evidentemente, non del tutto scomparse dal “radar commerciale” del Paese nordamericano.