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Fisco più pesante in Italia: strangolati da 33 miliardi di tasse in più

L’Italia è fra i Paesi meno vantaggiosi dell’UE sotto il profilo fiscale – questo è noto da sempre – ma quel che impressiona sono le dimensioni del gap fiscale – 33 miliardi di euro di tasse in più l’anno – che classifica gli italiani fra i cittadini più tartassati dell’UE.

Secondo un’analisi condotta dall’Ufficio Studi della CGIA, comparando la pressione fiscale dei 28 Paesi dell’UE, gli italiani hanno pagato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto all’ammontare complessivo medio versato dai cittadini dell’Unione Europea. Si tratta di un differenziale che “pesa” quasi 2 punti di PIL e che, in termini pro capite, equivale a 552 euro di tasse in più rispetto alla media dei cittadini europei.

BASTA SLOGAN, SERVE UNO SCOSSONE – Di qui la denuncia del coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo: “Il tempo degli slogan e delle promesse è terminato. Con la prossima manovra di Bilancio è necessario uno scossone che nel giro di qualche anno riduca di 3-4 punti percentuali il peso delle tasse. Considerata la delicata situazione dei nostri conti pubblici, tale intervento sarà praticabile solo ed esclusivamente se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte dei bonus fiscali. Operazione, quest’ultima, che appare difficilmente perseguibile. A confermarlo sono i risultati ottenuti in questi ultimi 10 anni. Tutti gli esecutivi che si sono succeduti si sono cimentati con grande determinazione sul versante della spending review; gli esiti, però, sono stati insoddisfacenti. L’auspicio è che il Governo Conte abbia maggiore fortuna”.

PIU’ TASSE, MENO CONSUMI – Il conto di un Fisco alle stelle lo pagano in primis famiglie e imprese, che riducono in proporzione i consumi e gli investimenti, frenando la crescita: solo qualche giorno fa l’ISTAT ha certificato una crescita “zero” del Belpaese proprio a causa di consumi che ristagnano.  “Con un peso fiscale opprimente e una platea di servizi erogati dall’Amministrazione pubblica che negli ultimi anni è diminuita sia in termini di qualità che di quantità, la domanda interna e gli investimenti hanno subito una caduta verticale”, spiega il segretario della CGIA, Renato Mason, aggiungendo “è diventato sempre più difficile fare impresa, creare nuovi posti di lavoro e redistribuire la ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, altresì, l’effetto combinato tra il calo dei consumi delle famiglie e la contrazione dei prestiti bancari ha provocato molti squilibri finanziari, costringendo tantissimi lavoratori autonomi a chiudere l’attività e a cambiare mestiere”.

E in attesa che la manovra di Bilancio 2020 chiarisca come verranno “recuperati” i 23,1 miliardi di euro necessari per evitare che dal prossimo 1° gennaio l’IVA torni ad aumentare, la CGIA ricorda che la pressione fiscale “reale” presente nel nostro Paese è di ben 6 punti superiore al dato “ufficiale”. Ciò perché include una misura del PIL più ristretta di quella calcolata dall’ISTAT, che esclude anche le attività illegali e irregolari per un valore di 209 miliardi di euro. Rammentando che la pressione fiscale si ottiene dal rapporto tra le entrate fiscali e il PIL, se dalla ricchezza prodotta (ovvero dal denominatore) togliamo la componente riconducibile all’economia “in nero”, il risultato del rapporto (vale a dire la pressione fiscale) in capo ai contribuenti onesti aumenta, consegnandoci un carico fiscale “reale” molto superiore a quello “ufficiale” (48 per cento anziché 42,1 per cento).

FRANCIA PEGGIO DELL’ITALIA – Tornando ai dati della comparazione, sempre nel 2018 è emerso che in Europa solo Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia hanno pagato mediamente più tasse di noi. La “sorpresa” viene da Parigi: ogni cittadino d’Oltralpe ha versato al fisco 1.830 euro in più rispetto a noi. In termini assoluti il divario fiscale è a noi favorevole e ammonta a 110,7 miliardi di euro. Rispetto agli altri principali competitori, invece, “soccombiamo” sempre. Se avessimo la pressione fiscale della Germania verseremmo 24,6 miliardi di tasse in meno (407 euro pro capite), dell’Olanda 56,2 (930 euro pro capite), del Regno Unito 114,2 (1.888 euro pro capite) e della Spagna 119,5 (1.975 euro pro capite).

SI FA PRESTO A DIRE FLAT TAX … – La flat tax può costituire la medicina che consentirà alla pressione fiscale italiana di scendere ad un livello accettabile? Non è tutto oro quello che riluce. Se i numeri in circolazione in queste settimane saranno confermati, pare che già oggi sulla maggior parte dei contribuenti Irpef gravi un’aliquota effettiva inferiore al 15 per cento. Pertanto, l’applicazione della tassa piatta rischia di interessare un numero ristretto di soggetti con redditi medio-alti. Ma la vera questione sarà dove trovare le risorse per realizzare questa decisa riduzione delle imposte. Se difficilmente saranno compensate da un risparmio della spesa, il ministro Tria, seppur critico sulla flat tax, pare abbia in mente la soluzione: il taglio dell’Irpef potrebbe essere in parte coperto da un aumento dell’IVA, anche in forma selettiva. Operazione che, secondo la CGIA, favorirebbe sicuramente le esportazioni, come sostengono i tecnici di via Venti Settembre, ma penalizzerebbe i consumi interni. “Bisogna assolutamente evitare l’aumento dell’Iva, anche in forma selettiva. E non è nemmeno accettabile il baratto più IVA meno Irpef”, denuncia Paolo Zabeo.