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Marco Preti, ad di Cribis: “Soltanto 40 imprese su cento pagano puntuali”

ll manager della società di servizi alle Pmi: “Le banche continuano a ridurre i finanziamenti alle aziende, spero non torni il credit crunch”

Marco Preti, 56 anni, è Ceo di Cribis, azienda bolognese nell’orbita di Crif, specializzata nei servizi alle piccole e medie imprese. Sono 15 mila le aziende che hanno deciso di rivolgersi a Cribis per raccogliere informazioni sull’affidabilità delle potenziali controparti, contribuendo a un fatturato della società bolognese di 90 milioni di euro (Crif supera i 700).

In quale settore operate?
«Cribis è una società controllata da Crif, che si occupa in modo principale di servizi per le imprese.  Il nostro compito è di valutare se un cliente pagherà e se lo farà con puntualità. Ma contribuiamo anche all’individuazione di nuovi clienti all’interno del mare magnum delle imprese. Ma facciamo anche altro».

Cioè?
«Tra le altre attività c’è anche la consulenza per la finanza agevolata, ma anche una suite di prodotti per la sostenibilità, che in questo periodo ha una crescente rilevanza per le aziende. Misuriamo le filiere produttive sotto questo aspetto».

Parliamo di finanza agevolata, in che cosa consiste il vostro lavoro?
«Anche questo è un servizio legato alla raccolta e elaborazione di informazioni. Raccogliamo tutti i bandi a tutti i livelli, da quelli comunali a quelli europei. Poi, li associamo alle imprese in base al settore di appartenenza e alla dimensione».

Quanto costa questo servizio?
«L’abbonamento per un servizio “Radar” costa più o meno mille euro l’anno, cifra accessibile a qualsiasi impresa. Lo stesso vale per i report sull’affidabilità delle aziende, che costa 30 o 40 euro. Mi pare una cifra molto modesta, in confronto ai rischi di trovarsi davanti a imprese che non onorano gli impegni».

Che cosa contengono questi report?
«
C’è la storia nel dettaglio dell’azienda, degli amministratori, ma anche valutazioni sulla crescita o meno del settore di riferimento di quell’impresa. Certo, poi c’è anche l’analisi degli eventuali protesti, ma oserei dire che questa è quasi marginale».

Perché?
«Ogni Paese ha le sue regole e modalità. In Italia, le cambiali e di conseguenza i relativi protesti sono ormai scomparsi. Ma comunque, queste inadempienze segnalano qualcosa di grave. Anche gli assegni sono diventati molto rari. La vera dinamica dei pagamenti delle imprese è ormai orientata sui bonifici, sulle carte di credito».

Come giudica la depenalizzazione di queste inadempienze?
«Comunque positiva, mi sembra forte arrivare a trasformarle in reati penali. Per evitare effetti negativi, le imprese possono cautelarsi con l’accesso a banche dati come quelle consultate da noi. L’accesso costa pochi euro. E comunque, strutture come il Crif sono state aperte anche in Medio Oriente, dove molti Paesi hanno depenalizzato questo tipo di violazioni».

Secondo i vostri studi, soltanto il 40,4 per cento dei pagamenti avviene in tempi regolari. Non le sembra un po’ poco?
«È una situazione grave, concordo. Ma siamo in Italia. In Francia, la percentuale di regolarità è del 70 per cento. Ma nel nostro Paese, un altro 50 per cento paga entro il primo mese oltre il termine e soltanto il 9,1 per cento lo fa dopo altri 30 giorni».

Tutto questo ha riverberi sull’economia?
«Certo. In Germania, le aziende non devono attrezzarsi per gestire i ritardi nei pagamenti. Ma l’Italia condivide questa situazione con altri Paesi del Sud Europa. E tutto questo si riflette sulla competitività».

Come è possibile rimediare?
«È una questione di cultura, di forza del sistema economico. Comunque, le piccole aziende pagano in modo più puntuale di quelle grandi».

Perché?
«Sono tenute a rispettare i contratti, le aziende medie e grandi meno».

Beh, anche loro hanno sottoscritto accordi da rispettare…
«Vero, ma hanno una forza contrattuale diversa. Poi, c’è da considerare il problema dell’accesso alla Giustizia, che ha costi non facilmente sostenibili da tutti. Ormai, prendere in considerazione l’aspetto delle difficoltà dei pagamenti è una prassi aziendale. È una modalità che fa parte del sistema».

La crisi è aumentata nel periodo del Covid?
«In realtà, in quel periodo c’è stato un miglioramento dei tempi di pagamento».

Come se lo spiega?
«C’è stata una sorta di solidarietà, le imprese hanno pattuito tempi più lunghi per i pagamenti e li hanno rispettati. C’è stata una solidarietà di filiera, molto bella».

E la situazione attuale?
«Ci sono la guerra in Ucraina, incertezze del quadro generale, la crescita dei tassi d’interesse. Le banche continuano a ridurre i finanziamenti alle piccole e medie imprese. Dieci anni fa, c’è stato il credit crunch, in quel periodo era difficilissimo avere credito. Ora c’è il problema dei tassi che si alzano e i finanziamenti alle imprese che non aumentano. Se le imprese non hanno grande attenzione alla cassa, il rischio di non pagare in tempo c’è. Questo trimestre c’è stato un lieve calo. Non vorrei che nel 2023 tornassimo alla situazione di dieci anni fa».

Quadro fosco…
«Non necessariamente. Il Pil cresce, non c’è recessione. Le aziende devono continuare ad avere attenzione alla gestione della cassa e il sistema bancario complessivo deve reggere come fa ora. Ecco, le imprese devono capire che la gestione della cassa è fondamentale. Devono investire in questo, non è il momento di mollare».

Le vostre analisi delineano un’Italia a due velocità, dove alcune Regioni virtuose del Nord-Est sono puntuali nei pagamenti al 47,7 per cento e altre nel Sud saldano le fatture in modo puntuale solo nel 27,5 per cento. Come lo spiega?
«Non aggancerei queste inadempienze al malcostume. Non è un vezzo. Sono aziende che hanno difficoltà anche su questo aspetto. Il Sud è un’area svantaggiata, soffre di più. È una questione di forza del sistema economico sottostante. Le Regioni del Nord e del Nord-Est sono più strutturate e forti, hanno una migliore gestione complessiva della cassa. Queste aree sono molto vicine a quello che accade in Germania».

L’incertezza nei pagamenti non fa bene all’economia…
«Per le aziende, l’importante è sapere con chi hai a che fare, scartare quelli che non pagheranno. Certo, rappresentano una percentuale bassa, ma ci sono. Una volta che lo sai, gestisci la situazione con strumenti legati a sconti o differenziazione dei prezzi».

Come è possibile reagire?
«Bisogna avere un’organizzazione che consenta di tenere conto di questi aspetti, aiutarsi di più con informazioni accurate, mettere in campo servizi e modalità che consentano di non arrivare mai a un pagamento mancato o molto ritardato. Le leggi ci sono, sono state introdotte anche normative più stringenti sulla grande distribuzione organizzata. I problemi non arrivano quasi mai da un nuovo cliente, perché quello è stato studiato, analizzato. I problemi arrivano dal cliente già consolidato, che magari affronta una situazione di difficoltà e non ce ne siamo accorti. Ecco perché è importante avere strumenti per conoscere meglio la realtà con cui hai a che fare. L’aspetto dei pagamenti è la parte terminale. Per avere una bona cassa, bisogna stare attenti a mille cose. Servono lavori, certo, ma bisogna fare attenzione anche ad avere le giuste scadenze, a non avere differenze di tempistiche fra entrate e uscite, come pagamenti da fare entro 60 giorni e fatture da incassare entro 90. Le banche sono attente a questi aspetti, ma i tassi d’interesse stanno aumentando e questo non aiuta. In certi periodi c’era anche la necessità di pagare in anticipo alcuni prodotti, altrimenti addio forniture. E senza una buona gestione di cassa, tutto questo non era possibile».

Che consiglio darebbe alle imprese?
«Gestire il credito, per accelerare i pagamenti. I maggiori successi vengono ottenuti con la tempestività. A volte, per evitare situazioni critiche basta ricordare a un cliente che deve pagare o concordare eventuali dilazioni con anticipo».

Come è andata la situazione nel periodo dopo il Covid?
«Nel 2021-2022 c’è stata l’onda lunga del Covid su alcune materie prime. Ora si sono sbloccate e il costo dell’energia sta calando, Alcuni elementi farebbero ben sperare. Speriamo che questi aspetti positivi vengano accolti dal complessivamente dal “Sistema Italia”, non credo ci si debba allarmare».

C’è un obiettivo che vorrebbe raggiungere?
«Mi piacerebbe crescesse il numero di aziende che considera di avere giuste informazioni. In Italia ci sono 7 milioni imprese e a queste dobbiamo aggiungerne altri 2 milioni e mezzo di società di capitale. Quelle che hanno deciso di rivolgersi a noi e ai nostri competitor sono 50 o 60 mila. In altri Paesi sono almeno il doppio. In quest’epoca di globalizzazione è importante avere strumenti affidabili per valutare la situazione. Bisogna passare dal sistema del passaparola, della raccomandazione a quello della raccolta di informazioni».

(Fonte: La Stampa

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