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Musca: «Crédit Agricole ha fiducia nell’Italia, Amundi pronta a crescere ancora»

Crédit Agricole continua ad avere fiducia nell’Italia ed è pronto a investire ancora nel nostro Paese. Il decimo gruppo bancario
al mondo ha appena presentato il nuovo piano industriale a quattro anni e le attività italiane, guidate da Giampiero Maioli,
sono destinate ad aumentare l’incidenza sull’utile di gruppo al 18%. «Escludiamo fusioni cross border con banche di altri
Paesi europei perché le regole attuali non consentono reali sinergie, ma siamo pronti a valutare un ulteriore salto dimensionale
nell’asset management con Amundi», spiega Xavier Musca, deputy ceo di Crédit Agricole, in questa intervista a Il Sole 24 Ore che parte dal nuovo piano appena presentato che prevede investimenti digitali per 15 miliardi in quattro anni e un utile
netto di 5 miliardi nel 2022.

Nel piano al 2022 il focus è soprattutto sulla crescita, meno sul taglio dei costi.

Sul fronte della redditività il focus è sul miglioramento del cost/income, responsabilizzando tutte le linee di business
ad avere come priorità l’aumento dei ricavi. Abbiamo le capacità per riuscirci. Se i ricavi non cresceranno abbastanza, interverremo
sui costi perché i target di cost/income sono l’obiettivo strategico annunciato al mercato. Tagliare i costi, talvolta, significa
tagliare gli investimenti. Faremo di tutto per evitare che accada.

Crédit Agricole è un gruppo solido, con ratios patrimoniali che al 2022 saranno tra i migliori in Europa. Il rafforzamento
avviene perché temete l’arrivo di una crisi economica? Avete anche indicato un costo del rischio di credito in aumento a 40
punti base. Perché?

Il piano è basato su uno scenario macroeconomico prudente, ma non di recessione. Nel precedente business plan avevamo ipotizzato
un costo del rischio di 50 punti, invece ora siamo a 21. Difficile che rimanga così basso in prospettiva. Ecco perché, con
la cautela che ci caratterizza, lo abbiamo innalzato a 40. Quanto ai ratios patrimoniali, abbiamo un target di Cet1 dell’11%
per Casa, che è quotata e punta a garantire un Rote d’interesse per azionisti e investitori. Ma a livello di gruppo Crédit
Agricole vogliamo essere tra i più solidi e puntiamo al 16% di Cet1, con due vantaggi: un rating più elevato e un risparmio
di costo rispetto all’alternativa di emettere bond per soddisfare i requisiti Mrel e Tlac richiesti alle banche che sono
di interesse sistemico.

Il piano prevede maxi-investimenti da 15 miliardi in tecnologia. Temete la concorrenza dei fintech e, soprattutto, di big
tech? Molti banchieri temono la nascita di una eventuale Amazon Bank. Che ne pensa?

Non c’è dubbio che se Amazon entrasse nel banking, il contesto diventerebbe sfidante. Per ora vediamo che il fintech sta
conquistando quote di mercato ma non siamo preoccupati nel lungo periodo. Primo, perché anche il fintech dovrà essere sottoposto
a regolamentazione e richieste sul capitale. Secondo, perché tutte le banche – non solo noi – stanno facendo imponenti investimenti
digitali e difenderanno i propri clienti. Terzo, perché il fintech cresce e attrae clienti meno redditizi.

La Vigilanza Bce spinge verso fusioni cross border. Ma l’unico tentativo (fallito) di fusione tra grandi banche è stato l’arrocco
tedesco tra Deutsche e Commerzbank. Come si pone Crédit Agricole rispetto alle fusioni tra grandi banche e in particolare
sul tema del cross border in Europa?

Non vediamo le condizioni per fusioni cross border, perché i risparmi sui costi sono quasi impossibili senza una vera unione
bancaria in Europa. L’architettura della regolamentazione bancaria resta ancora basata a livello nazionale: ogni Paese ha
diversi sistemi fiscali, i mutui non sono omogenei, in generale leggi e regole sono diversi. In questo contesto le sinergie
di costo – a partire dall’impossibilità di avere un unico sistema informatico – sono poco visibili in una fusione cross border.
Dunque la crescita organica resta la nostra priorità.

Sono ricorrenti sul mercato rumors, mai smentiti né confermati, di una possibile aggregazione di UniCredit con la francese
Société Générale. Per voi un cambiamento dello “status quo” competitivo creerebbe problemi?

La nostra valutazione è che non vi sia convenienza attualmente ad aggregazioni cross border. Non entro in eventuali scelte
di altre banche concorrenti di cui ho grande rispetto.

In Germania, Commerzbank resta alla ricerca di un partner. Si è parlato dell'olandese Ing e ancora di UniCredit. A voi interessa
crescere in Germania? E in Polonia, dove siete presenti ma non in forze?

In Polonia siamo presenti con una banca e puntiamo a crescere spingendo soprattutto il credito al consumo. Acquisizioni?
Siamo flessibili, compatibilmente con i nostri obblighi di redditività e capital planning, dipende dalle opportunità. Quanto
alla Germania, dico con chiarezza che non abbiamo in programma alcun piano di sviluppo nella banca retail, un business complesso
nel quale c'è molta concorrenza. Puntiamo invece a sviluppare Amundi e il corporate & investment banking in Germania. Finora
puntavamo su clienti da due miliardi di fatturato in su, ora partiamo da un miliardo. Alla corporate Germania Crédit Agricole
può offrire i servizi di un grande network internazionale e di una banca solida e con grande liquidità.

Le opportunità non mancheranno, date le condizioni di Commerz e Deutsche Bank. Ma passiamo all’Unione bancaria, che continua
a non progredire per la contrarietà di alcuni Stati alla condivisione dei rischi. Crede che il nuovo Parlamento e la nuova
Commissione Ue faranno passi avanti?

L’Unione bancaria è necessaria per consentire all’Europa di avere banche forti e competitive a livello globale. È molto probabile
che la nuova Commissione persegua l’obiettivo di arrivare all’Unione bancaria. Ma, alla fine, qualsiasi progresso dipende
dalla volontà politica. Nel medio periodo un’Europa più integrata è una questione di logica.

Le banche europee sono destinate a soccombere ai colossi Usa, che ormai dominano anche in Europa nel capital market e nell’investment
banking?

Abbiamo bisogno di banche europee forti per poter competere a livello globale. Ma è necessario che le regole non ci penalizzino.
L’impianto di Basilea 4 sul capitale è peggiorativo per le banche europee e favorisce le banche Usa.

Lei ha la visione del banchiere ma anche del politico: anni fa è stato direttore generale del Tesoro francese e segretario
all’Eliseo durante la presidenza Sarkozy. Cosa pensa delle tensioni Italia-Francia? Da Vivendi in Telecom e Mediaset, alle
difficoltà tra Essilor e Luxottica, fino al settore del lusso con tanti player italiani acquistati dai colossi francesi del
settore. Per non parlare del fallito negoziato tra Renault e Fiat, di cui Agricole è partner in Fca Bank.

In generale, limitando l’osservazione all’economia e non alla politica, direi che si tratta di due grandi Paesi che hanno
molto in comune. Le economie sono molto interdipendenti. La Francia mantiene la sua posizione di secondo maggiore partner
commerciale dell’Italia (secondo fornitore e secondo cliente), l’Italia è il terzo fornitore e il terzo cliente della Francia.
Poi c’è il tema delle acquisizioni di aziende: vedo qualche difficoltà e molti casi di successo in entrambe le direzioni.
Per quanto riguarda Crédit Agricole, non vedo alcun problema. Abbiamo eccellenti relazioni con le banche italiane, con Cdp,
con i grandi gruppi italiani, con i regolatori e le Autorità.

E su Fca-Renault che ne pensa? Voi siete partner per l'Europa di Fca Bank…

Non facciamo commenti sulle trattative. Posso dirle che sia noi che Fca siamo molto soddisfatti di una partnership che ha
visto aumentare l’utile netto dai 171,7 milioni del 2013 ai 388 milioni del 2018. La partnership è stata rinnovata per la
prima volta nel 2013 e sono in corso le trattative per un secondo rinnovo.

Nell’asset management avete creato negli anni un colosso europeo come Amundi. Per poter competere nel mondo con i grandi gruppi
Usa e asiatici del settore, bastano le dimensioni attuali di Amundi o prima o poi servirà un nuovo salto?

Amundi è il primo operatore in Europa nel risparmio gestito e l’unico europeo nei Top 10 del mondo, con 1.500 miliardi di
euro di attivi gestiti e una presenza in 36 Paesi del mondo. Amundi ha un basso cost/income e fa parte di un gruppo ben capitalizzato.
Se dovessero presentarsi opportunità di crescita, le valuteremo, soprattutto in Europa ma anche in Asia.

Veniamo alla vostra presenza in Italia, dove avete presenze di rilievo in tutti i servizi finanziari. Partiamo dalla banca
tradizionale, nata da Cariparma e poi cresciuta negli anni. Due temi specifici. Siete interessati al salvataggio di Carige?
Nel Credito Valtellinese siete soci al 5% e potete salire al 10%. Altro socio forte con il 10% è l'imprenditore francese Dumont.
Come intendete comportarvi?

Non stiamo valutando alcun dossier esistente in Italia al momento, in Italia la priorità è la crescita organica. Siamo intervenuti
nel salvataggio delle tre casse del centro Nord perché abbiamo intravisto possibilità di sinergie con limitato impegno di
capitale. Non intendiamo fare grandi acquisizioni, ma non escludiamo altri interventi simili – come logica – a quelli nelle
tre casse di risparmio. Quanto al Credito Valtellinese, CA Assurances detiene il 5% del capitale della banca a sostegno dell’accordo
di distribuzione dei prodotti di bancassurance vita concluso nel 2018. Abbiamo indicato che potremmo aumentare la nostra partecipazione
al 9,9% soltanto se concludessimo altre partnership commerciali.

L’Italia si trova in mezzo a una lunga transizione e periodicamente si riaffacciano timori per la sostenibilità del suo debito
pubblico. Il tema vi preoccupa? Crédit Agricole continuerà a investire in Italia?

Continueremo senz’altro a investire in Italia, che è già il nostro secondo mercato domestico. Siamo presenti da oltre quaranta
anni, apprezziamo l’Italia e partecipiamo alla vita del Paese anche sostenendo i territori. Sosteniamo il rapporto con i territori.
Abbiamo fiducia in questo Paese e nella sua economia. Non crediamo affatto che l'Italia sia un problema. Esiste un tema debito
pubblico, come evidenziato dai rendimenti in avvicinamento a quelli della Grecia. Ma nel medio lungo termine siamo ottimisti
sull’Italia.

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