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Partite Iva, cosa fare se non si rientra più nel forfettario: gli adempimenti obbligatori

Per i forfettari (sia chi lo era già, sia chi sarebbe voluto diventarlo), le ultime settimane e gli ultimi mesi sono stati piuttosto convulsi. Dominati dall’incertezza, verrebbe da dire. Le nuove misure introdotte nel Collegato Fiscale e nella Manovra di bilancio, infatti, hanno reso più difficile la permanenza e l’ingresso nel regime fiscale agevolato.

Secondo alcune stime, sarebbero ben 360 mila i contribuenti costretti al cambio di regime fiscale per “colpa” delle nuove cause ostative. E, ovviamente, il passaggio dal regime forfettario a quello ordinario non riguarderebbe la sola aliquota fiscale: come sanno bene tutti coloro che hanno aperto una partita IVA o si sono informati su come aprire una partita IVA, il cambio comporta nuovi obblighi contabili e amministrativi, che andranno a incidere anche sui “costi vivi” della propria attività. Non ci si deve stupire, dunque, se sull’argomento sono nate proteste di ogni tipo, incluse raccolte firme su piattaforme online con migliaia e migliaia di adesioni.

Partita IVA forfettaria: le cause di esclusione

Nel dettato legislativo vengono previste nuove cause ostative all’ingresso e alla permanenza nel regime fiscale della flat tax al 15%. Molti speravano che le cause di esclusione entrassero in vigore dal 2021, così da offrire un lasso di tempo adeguato per poter valutare la situazione e compiere scelte ponderate. Il Governo, invece, non ha concesso alcun rinvio e le clausole sono entrate in vigore dal 1 gennaio. Come specificato dall’Agenzia delle Entrate, i forfettari avranno 60 giorni di tempo per valutare la loro posizione contabile e scegliere di conseguenza.

Nello specifico, il Governo ha previsto che non possano creare (o mantenere) una partita IVA forfettaria quei soggetti che, nell’anno fiscale di riferimento, hanno accumulato redditi da lavoro dipendente superiore ai 30 mila euro e che abbiano speso più di 20 mila euro per dipendenti o collaboratori. Una vera e propria scure che si abbatte su centinaia di migliaia di professionisti che, rientrando nel tetto dei 65mila euro di ricavi annui, avevano optato per il regime fiscale forfettario.

I nuovi obblighi contabili e amministrativi degli ex forfettari

Il passaggio dal regime forfettario a quello ordinario non riguarda esclusivamente il passaggio dalla flat tax al 15% alle aliquote IRPEF previste nel collegato fiscale. Anzi, per alcuni versi questo sarà il “male minore”. Come noto, infatti, i forfettari godono di un regime contabile e amministrativo agevolato, che li mette al riparo da obblighi burocratici di varia natura.

I soggetti che, volenti o nolenti, dovranno passare al regime IVA ordinario, dovranno dunque:

  • Applicare l’IVA sulla cessione di beni e prestazione di servizi;
  • Tenere i registri IVA e i registri contabili, con le fatture emesse e gli acquisti effettuati nel corso dell’anno;
  • Effettuare versamenti e liquidazioni IVA periodiche, così come previsto dal calendario fiscale;
  • Compilare gli Indici Sintetici di Affidabilità (gli ISA, per intendersi):
  • Obbligo di fatturazione elettronica (e necessità di ottenere un codice destinatario SDI)
  • Iscrizione all’INAIL;
  • Pagamento di IRES e IRAP;
  • Iscrizione al Registro delle Imprese;
  • Subire la ritenuta d’acconto per prestazioni professionali effettuate.
  • In caso di fatture emesse nel 2019 e ancora non riscosse, inoltre, si dovranno applicare i nuovi obblighi. Ad esempio, si dovrà applicare l’IVA anche sugli importi precedentemente concordati (dovranno quindi essere maggiorati), mentre i ricavi saranno sottoposti a una nuova aliquota fiscale. Niente flat tax al 15%, dunque, ma tassazione in basa all’aliquota IRPEF nella quale si cadrà.