Continua l’attività di controllo dell’Ispettorato del Lavoro che, da alcune settimane a questa parte, si occupa di verificare che i richiedenti Reddito di cittadinanza non svolgano attività lavorativa in nero.
A tal proposito, l’ispettorato ha diramato una nota (la n. 7964 dell’11 settembre 2019) con la quale specifica le modalità di applicazione della cosiddetta maxisanzione da applicare al datore di lavoro in caso di lavoro irregolare. Una misura introdotta con il Decreto Crescita 2019 e che prevede una maggiorazione del 20% delle sanzioni normalmente applicate dallo stesso ispettorato.
Come si legge nella nota, la maxisanzione può essere applicata in tre occasioni:
In quest’ultimo caso, la maxisanzione può essere applicata anche nel caso in cui a lavorare in nero non sia direttamente il richiedente, ma una persona facente parte dello stesso stato di famiglia. La misura di sostegno viene erogata in base al reddito familiare e non personale: tutte gli appartenenti al nucleo familiare, dunque, concorrono a determinare il reddito e l’ISEE da dichiarare al momento della presentazione della domanda. Va da sé che se un membro della famiglia svolge attività lavorativa in nero aumenta il reddito complessivo e, di conseguenza, porta a superare il massimale ISEE previsto dal Decreto Dignità.
Se gli ispettori dell’INL dovessero scoprire un lavoratore subordinato appartenente a una delle categorie prima citate potranno erogare la maxisanzione, il cui importo dipende dal numero di giornate lavorative svolte. Nello specifico:
Vale la pena ricordare, inoltre, che anche chi percepisce il reddito di cittadinanza e, allo stesso tempo, svolge un’attività lavorativa in nero rischia di finire di fronte a un giudice. Come previsto dal Decreto Dignità, si rischia una pena da 2 a 6 anni di reclusione.