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Imu e Tasi: ultimo saldo il 16 dicembre prima della fusione nel 2020

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10 dicembre 2019 – Imu-Tasi

Anche quest’anno, l’adempimento non riguarda la prima casa, eccezion fatta per gli immobili di lusso (A1/A8). Vediamo le opzioni.

  • SALDO PAGATO A GIUGNO – Se a giugno 2019 è già stato pagato il saldo bisogna verificare – visto che i Comuni a volte pubblicano la delibera in ritardo – se l’aliquota pagata sia sempre la stessa a dicembre 2019 (è così nel 99% dei casi quindi fino a giugno dell’anno prossimo non è necessario fare nulla). Altrimenti occorre calcolare e pagare la differenza dovuta.
  • A GIUGNO PAGATO SOLO ACCONTO – Stesso iter. Quasi sempre, infatti, la cifra da sborsare è quella versata nel mese di giugno, quindi basterà replicare l’F24 barrando, questa volta, la casella saldo.
  • CASA ACQUISTATA DURANTE L’ANNO – I calcoli vanno rifatti. Se la casa è stata acquistata prima del 16 giugno, ed è stato versato un acconto, il 16 dicembre si pagherà per tutto questo secondo semestre. Se la casa è stata acquistata dopo il 15 giugno, si pagherà solo il secondo semestre, a saldo.
  • Dal prossimo anno, poi, i contribuenti dovranno fare i conti con le ulteriori novità inserite in Legge di Bilancio 2020, con la quale le due tasse sulla casa dovrebbero essdere unificate nella cosiddetta Nuova IMU.

    Il saldo di quest’anno – sottolinea il Sole 24 Ore – sarà anche l’ultimo in cui gli inquilini e gli altri occupanti degli immobili – come i comodatari – dovranno versare la propria quota della Tasi (dal 10 al 30% secondo la delibera comunale; 10% se il Comune non ha deciso nulla in merito). Dal 2020 l’importo ricadrà sul proprietario, e ci sarà anche un rincaro, perché gli inquilini che usano la casa come abitazione principale dal 2016 non pagano la propria fetta di Tasi. L’effetto è stimato in 14,5 milioni dalla relazione tecnica al disegno di legge di Bilancio. Più in generale, sparirà anche la vaga idea di service tax rappresentata dalla Tasi come tributo sui servizi comunali indivisibili e ci sarà un prelievo di tipo puramente patrimoniale.

    È solo dal 2021, invece, che gli amministratori locali dovranno inserire le aliquote in un’applicazione sul Portale del federalismo fiscale, che genererà un «prospetto delle aliquote» più leggibile. È rientrata, invece, l’ipotesi di una stretta per legge sulle “doppie” abitazioni principali possedute da coniugi in Comuni diversi, per le quali – peraltro – già oggi gli uffici tributi locali possono contestare l’assenza di dimora.

    Quello che non cambierà nel 2020 sarà il livello massimo del prelievo. La nuova Imu avrà come limite il 10,6 per mille, che oggi rappresenta la somma massima di Imu e Tasi. Inoltre, verrà fatto salvo l’aumento dello 0,8 per mille applicato da circa 300 Comuni – tra cui Roma e Milano – che l’hanno introdotto nel 2015 e poi sempre confermato. In queste città il massimale rimarrà l’11,4 per mille.

    Il nuovo tributo potrà essere azzerato, cosa oggi impossibile a livello normativo per l’Imu. Ma non è difficile prevedere che questa possibilità si rivelerà puramente teorica per la stragrande maggioranza dei sindaci. Al contrario, l’aliquota base della nuova imposta salirà dal 7,6 all’8,6 per mille. Scelta che non impedisce ovviamente gli sconti, ma che rischia di segnare un nuovo benchmark più elevato, per gli immobili tassati con il livello base.

    Insomma, i proprietari continueranno a subire un tax rate più che doppio rispetto ai 9,2 miliardi del 2011, ultimo anno dell’Ici. Il tutto a fronte di prezzi medi delle abitazioni esistenti che l’Istat nel secondo trimestre 2019 ha misurato ancora in calo del 23,1% rispetto al 2011. Con il risultato che spesso in provincia si pagano i tributi immobiliari su valori catastali superiori a quelli di mercato.